L’esperienza del consumatore resta centrale, anche online


Si parla molto di e-commerce, ma a ben guardare se ne sfrutta forse il 10% del potenziale. La chiave per uscirne? Rompere uno schema (mentale) che ormai ha più di 25 anni

Di Francesca Casirati

Una delle poche certezze che ad oggi possiamo avere riflettendo sul Covid-19 è che ha completamente stravolto qualsiasi modello previsionale. È ormai assodato infatti che tutte le piccole e grandi rivoluzioni che abbiamo vissuto e stiamo ancora affrontando sul piano personale e professionale hanno avuto una decisa accelerazione che diversamente non avremmo sperimentato nel 2020.

«Ci siamo adattati a una nuova normalità nel contesto di una situazione inaspettata, stressante e forzata. Per dirla con le parole dello psichiatra Eugenio Borgna, abbiamo applicato una disciplina della paura – segnala Enrico Giubertoni, fondatore di Cosmetica Marketing e consulente di Cosmetica Italia Servizi – Anche i più restii hanno iniziato a vedere l’utilità, e in alcuni casi l’indispensabilità, di strumenti che avevano già a disposizione ma che, per abitudine, non avevano ancora adottato».

Un caso emblematico è quello dell’e-commerce che di sicuro non è arrivato con il lockdown della scorsa primavera, ma al contrario aveva debuttato 25 anni fa. I volumi delle vendite online sono però aumentati in questi mesi come mai prima. «Non dobbiamo considerare l’e-commerce come in antitesi con la distribuzione tradizionale, si tratta infatti di una modalità di acquisto che migliora l’esperienza del prodotto e che può offrire enormi possibilità soprattutto per un settore come quello cosmetico» continua l’esperto. Il piacere dell’acquisto è infatti incrementato perché si ripete tanto nel momento in cui si fa clic sulla conferma del proprio carrello virtuale, quanto al ricevimento del proprio ordine.
L’esperienza è il cardine su cui lavorare per trarre dei concreti vantaggi competitivi, specie nell’attuale contesto che chiede di individuare nuovi paradigmi: «L’e-commerce ha un ruolo sfruttato al 10%, continuiamo a vederlo come un’innovazione, ma con un approccio concettuale tradizionale. In realtà, fa parte di un sistema più articolato in cui la sfera digitale e quella della distribuzione “classica” comunicano e interagiscono: è quanto succede quando vedo un prodotto in negozio, ma trovo più comodo che mi venga spedito a casa oppure noto qualcosa online ma voglio provarla di persona nel punto vendita o ancora desidero un certo prodotto che acquisterei offline, ma solo online lo trovo con una particolare confezione» puntualizza Giubertoni.

L’e-commerce può poi contare su un’ “economia della comodità”, particolarmente utile per prodotti ad alto tasso di fidelizzazione come i cosmetici; è infatti possibile strutturare formule che prevedano la spedizione periodica di un dato prodotto, togliendo anche la “fatica” di dover ripetere l’acquisto. In quest’ottica è chiaro anche il vantaggio per le aziende che possono così contare sul valore aggiunto di un cliente fidelizzato, meno oneroso da mantenere rispetto ad un nuovo, e di cui si conoscono le preferenze e le richieste.

Il punto è però essere pronti e avere davvero compreso queste dinamiche: adottare un determinato paradigma o una tecnologia non è sinonimo di avere successo. In questo senso il nostro Paese paga lo scotto di un approccio a tratti diffidente o che riduce l’e-commerce all’avere un sito web. «Naturalmente si tratta di una complessità maggiore, pensiamo all’area asiatica dove le vendite online sono integrate da tempo nei social network o nei sistemi più diffusi di messaggistica – specifica Enrico Giubertoni – La questione è non vedere più il digitale come un’innovazione, ma come una realtà imprescindibile. Il focus della sfida va quindi spostato sul sapere integrare questi strumenti con l’esperienza dell’utente, trovando quelli più adatti al proprio target. Lo strumento deve rimanere il mezzo, mentre la centralità deve rimanere sul consumatore».

Una scommessa per futuro? «Quando usciremo dalla pandemia le persone avranno un forte impulso al ritorno verso la distribuzione tradizionale, ma ancora una volta senza che ci sia una concorrenza col digitale. La chiave è comprendere appieno la complementarità di queste esperienze, l’onlife experience» conclude Giubertoni.